Passi da giocare

V
(adagio)
Regina, reginella, quanti passi devo
fare per arrivare al tuo castello
con la fede e con l’anello
con la punta del coltello?

Regina
tre passi da formica

E V fa tre passi da formica. Noioso, ma tant’è, almeno si va avanti e non c’è rischio di cadere.

V
(andantino)
Regina, reginella, quanti passi devo
fare per arrivare al tuo castello
con la fede e con l’anello
con la punta del coltello?

Regina
Un passo da leone

E V fa un balzo a piedi uniti. Rischioso, ma ce la fa e si sente molto meglio.

V
(allegretto con moto)
Regina, reginella, quanti passi devo
fare per arrivare al tuo castello
con la fede e con l’anello
con la punta del coltello?

Regina
Un passo da gambero

Regina incrocia le braccia e lancia il suo sguardo sadico.

Regina
(a se stessa)
Tie’, béccate questo!

V rimane di sasso. Ma il gioco è gioco, e tocca giocare. Fa un passo indietro, e visto che non se lo aspettava, rischia anche di inciampare.

V
(grave ma non troppo)
Regina, reginella, quanti passi devo
fare per arrivare al tuo castello
con la fede e con l’anello
con la punta del coltello?

La fotografia la ritrae in bilico, ma è solo l’istante di uno scatto. E il gioco va avanti.

Ciao, Lara e Corto. Web 7.0

Ieri sera ero a casa, c’era il mio amico Domenico di là che lavorava, si era offerto di prepararmi la cena (ottima frittata di patate, con contorno di lenticchie e radicchio primitivo scottato in padella al vino rosso, grazie, teso’) in cambio dell’uso della connessione in rete, perchè a casa sua aveva avuto dei problemi e doveva controllare dei documenti per il suo progetto di ricerca.

Ero a casa e gli dicevo che nel pomeriggio sarei voluta andare al Festival, ma altri impegni me l’avevano impedito.
Sarei voluta andare perché venivano riproposti in videoproiezione digitale ad Alta Definizione, sul grande schermo di Digital Party/Ufo 2007, il padiglione dedicato alle nuove tecnologie della Festa Internazionale di Roma, i corti di Corto. Web 7.0, concorso online di Arcipelago – 15.mo Festival Internazionale di Cortometraggi e Nuove Immagini.

Sarei voluta andare perchè tra i 29 corti internazionali in concorso c’era anche il cortometraggio “Ciao, Lara”, di cui ho scritto soggetto e sceneggiatura durante il laboratorio di cinema presso la scuola Omero [che ha prodotto altri 2 corti] con i mitici Paolo Restuccia ed Enrico Valenzi, e che ha la regia di Ernesto Spinelli e la supervisione alla sceneggiatura di Sergio Donati, grande sceneggiatore [tra l’altro di alcuni film di Sergio Leone] e gran persona, disponibile e generosa.

La sera, dunque, ero a casa con Domenico di là che lavorava, e a un certo punto, verso l’una di notte, ho detto: dai, fammi controllare come è andato il concorso. Ho lasciato Fraktalia Freenote su Second Life, al bar di Star Life (Slurl), isola del Festival del Cinema di Roma [dove c’è anche una curiosa palla blu che presto, mi dicono, regalerà soprese agli amanti del cinema], e ho fatto un giro in rete.

Be’, ho scoperto che Ciao, Lara aveva vinto! Devo ammettere che, nonostante alcune omissioni nel testo del comunicato stampa che gira sui giornali, è stata una bella soddisfazione 🙂

Quindi colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta Paolo, Enrico, Sergio ed Ernesto, e tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione del corto. Poi, certo, ringrazio tutti quelli che hanno votato per far vincere Ciao, Lara.

Ciao Lara
soggetto di Veronica Giannini,
sceneggiatura di Veronica Giannini, Sergio Donati, Ernesto Spinelli,
regia di Ernesto Spinelli

Mestruazioni, non ne farei a meno

In ritardo. Come al solito in ritardo. L’idea era di ieri, e io ci scrivo un post oggi. Ma sai com’è, in questi giorni mi stanno arrivando le mestruazioni, e il mio umore è labile. Quindi ci ho messo un po’ di tempo a decidere se scrivere o non scrivere questo post 😉

Perché, pensavo, in fondo ho sempre vissuto in ambienti dove si diceva senza remore: oh, eddai, lo sai che sto così, mi stanno per arrivare le mestruazioni. Oppure: aspe’ che mi vado a cambiare l’assorbente. O ancora: devo prendere l’analgesico che c’ho il mal di pancia da mestruo, un’ora e poi passa. Insomma, mai vissute le mestruazioni come qualcosa di cui non si deve dire, come le innominabili me strua zio ni.

Eppure, ricordo una volta al liceo, due mie compagne di classe dovevano passare un fine settimana con alcuni loro amici fuori Roma, ed erano parecchio agitate, perché entrambe avevano le mestruazioni. Ricordo ancora la loro gioia al ritorno, nel dire: è andato tutto bene, non se n’è accorto nessuno.
E ricordo però anche la madre di una delle mie migliori amiche, una femminista storica parecchio convinta [la madre, non la mia amica], che quando un maschio si provava a dirle dietro per strada: ciao bella, ci vieni con me? rispondeva: eh, se te piace ar sugo!
Adesso, tra il nasconderle e il farne uno sfoggio un po’ sguaiato ce ne passa parecchio… ma quest’idea di scriverne un post è divertente, e forse può essere anche utile.

Magari potrebbe aiutare qualcuno a capire che se ogni tanto tendo al drammatico, e sembro più litigiosa del solito, e divento ipersensibile, basta dare un’occhiata al calendario, e voilà, tutto è più chiaro: mi stanno per arrivare le mestruazioni. Eh, tanto per capirci, mi sono arrivate proprio oggi 😉

Già, i giorni difficili non sono durante, ma prima. Durante per me è solo questione di analgesici e assorbenti, interni, per favore, assolutamente interni. Prima, invece, è un disastro. Seno gonfio, mal di testa, desiderio animale, fame incontenibile, malumori, crisi di senso, melodrammi in agguato, nervosismo latente.

Detto ciò, non ne farei a meno per niente al mondo. Per niente al mondo mi farei sottrarre questa marea di emotività galoppante, né gli istinti animali, né la magnifica sensazione di benessere quando il flusso si fa vivo e si ricomincia a contare [sul sito delle mie amiche di A/matrix c’è un bell’articolo, che gira anche altrove in rete, di Monica Lanfranco sulla pillola contro le mestruazioni]

Occhio, però, se quando mi vedi di umore labile, controlli il calendario e non è periodo di mestruazioni imminenti, allora vuol dire che sono incazzata davvero e di brutto 😉

Una parola da brivido

A volte, nella vita, capitano situazioni in cui si è lì che si aspetta. Le giornate passano, si lavora, si legge, si intavolano conversazioni coi vicini, si fa la spesa, si porta fuori il cane. Insomma si vive la quotidianità solita o meno solita e si prova la gamma di emozioni varie che ognuno di noi è in grado di provare. C’è tuttavia una piccola parte di noi che aspetta. E’ in attesa.
E non parlo di quell’attesa per cui si aspetta qualcosa di grande, ma di non ben definito, tipo, che so, innamorarsi, svoltare il lavoro che abbiamo sempre voluto, vincere alla lotteria un viaggio intorno al mondo. No, non parlo di quell’attesa lì, ché pure può capitare di vivere. Ma no, non quella.

Parlo dell’attesa di qualcosa di preciso, l’attesa di una risposta che deve arrivare, di un risultato, di un verdetto. Si sa quando, si sa da chi, si sa il come e il dove. Per dire, nei legal-movie americani è l’attesa di quel momento in cui il rappresentante della giuria si alza e dice: riteniamo l’imputato.
Ecco, quell’attesa. L’attesa di una parola. Colpevole o Innocente. Promosso o Bocciato. Me ne vado o Resto. Positivo o Negativo.

Quell’attesa spesso converge tutta su una parola. E quando quella parola viene letta o ascoltata, proprio in quell’attimo preciso, non prima, non dopo, ci prende un qualcosa nello stomaco. Quella parola, quel solo attimo, è una pelle d’oca dentro, è un brivido repentino nello stomaco, un terremoto interiore concentrato in una frazione di secondo. In una parola, appunto. Quella parola dice molte altre parole, senza dirle.
Poi arrivano la gioia o il dolore, nelle infinite loro sfumature, a seconda della parola, e dell’attesa, e della situazione.
Quella parola oggi a me ha portato un bel senso di leggerezza, durato per qualche ora. Non mi ha cambiato la vita, ma mi ha scasinato lo stomaco per bene.

P.S. Effe ha concluso uno splendido post con un bell’esempio di come si potrebbe conteggiare lo scorrere della vita attraverso le parole. Mi chiedo, giocando un po’ con le parole: una parola come quella mia di oggi, che da sola ‘non ne dice’ molte altre già dette altrove, come andrebbe contata?

Non tacere, o vai di conversazioni dal basso

Quasi due anni fa il mio amico Fabio mi raccontava di aver conosciuto un uomo straordinario. E dato che lui, il mio amico Fabio, proprio non riesce a trattenersi dal fare un documentario su ciò che davvero gli sta a cuore, nonostante la sua professione sia tutta un’altra, ovviamente ci ha fatto un documentario. Questo:

“Non Tacere” Don Roberto Sardelli e la scuola 725 – regia di Fabio Grimaldi, produzione Blue FIlm.

non tacereUn documentario su Don Roberto Sardelli e sulla scuola 725. Attenzione, però, non è solo un documentario storico, non racconta solo come Don Roberto creò la scuola 725 nel ’68 tra i baraccati dell’Acquedotto Felice e di come questa scuole divenne un laboratorio sperimentale di vita, di cultura e di lotta per la dignità e i diritti. Racconta anche il Don Roberto di oggi, le sue continue battaglie, l’incontro con gli ex allievi della scuola e la lettera al sindaco contro i mali di Roma e del mondo.

Se volete saperne di più, non vi resta che vedere il documentario, presentato sabato 13 ottobre alle ore 17.00/20.30 presso la casa del Cinema – L.go Mastroianni 1 (Villa Borghese).

Se invece sabato 13 e domenica 14 avete altro da fare, o andate a seguire il Festival dei Blog in quel di Urbino, partecipando al Blog Award e alla “Treasure Hunt Wireless Game“, allora date un’occhiata al sito www.nontacere.org, non è la stessa cosa che vedere il documentario, ma dice tanto ugualmente ed è ricco di documenti interessanti. Magari poi viene voglia anche a voi, di non tacere!

Il materiale e l’immaginario

Non era il mio libro di testo a scuola, ma mia madre, che all’epoca non era ancora una ‘dirigente scolastica’ ma un’insegnate, lo utilizzava nelle sue classi, quindi in casa c’erano tutti e 10 i volumi dell’edizione grigia: Il materiale e l’immaginario, di Cesarani-De Federicis, Torino 1985, Loescher.

Curiosa com’ero di libri, ho cominciato a sfogliarlo già alle scuole medie, fino a farlo diventare il testo su cui ho preparato gli esami di maturità, in aggiunta a quello ‘adottato’ ufficialmente dalla mia prof. Ho sempre amato quel libro, che, a partire dai testi, metteva insieme la letteratura con l’economia, con la storia, con l’arte, con la filosofia e con tutte le scienze, dando un senso, per me a quei tempi nuovo e assai ricco, all’ossimoro del suo titolo.

BuranOra queste due parole, materiale e immaginario, troneggiano significativamente in un altro insieme di testi: Buràn, piccola rivista letteraria digitale, che, con grande opera di ricerca e traduzione, regala meraviglie da mondi lontani e spesso non visibili.
Per ascoltare voci che mordono la realtà e disegnano atmosfere.

Settembre 2007 racconta Il Conflitto, ma per chi non la conosceva, vale la pena ascoltare anche le altri voci, Il Lavoro e La Città.

Zucchine julienne a ritmo di hip hop

Quattro giorni di Live Performers Meeting, un bel palco posizionato proprio a ridosso del muro dove si apre la mia finestra dello studio, amplificatori in pompa magna ben posizionati verso l’alto, spettatori che ascoltano e commentano e ridono e cicaleggiano. Come dire: se non vuoi scendere sotto casa, puoi tranquillamente goderti lo spettacolo nella comodità della tua abitazione, volendo anche dal cesso, tanto si sente benissimo, tutto.

Ora. Che tutto ciò potrebbe anche rendere felice qualcuno, ne sono sicura, però vorrei che chiunque sia questo qualcuno, provasse tutto l’anno a vivere in un palazzo circondato dal 25% dei locali di Roma, a ricevere alle tre di notte le visite dei vicini di casa che, con la pressione a duemila, gli occhi rossi di sonno [o rabbia?], vengono da te a cercare conforto e tisane rilassanti e a comunicarti le ultime acrobazie tentate per ottenere un po’ di silenzio tanto da far dormire almeno i bimbi.
Ma lasciamo perdere, che qualcuno si provi, se desidera, gli presto la stanza, ho un fantastico divano letto, nello studio.

Dicevo, invece, sono quattro giorni che volente o nolente mi sorbetto queste perfomances sperimentali di dj-set, vj-set, food-set, turntable musician, scratchmusic, acting audio video performance ecc. ecc.
Venerdì erano varietà di grida e urla mixate con sottofondo di immagini di chi grida e urla; ieri scratchate molteplici e brusii vari, oggi verdure alla julienne disposte su lastre di plastica trasparente a tempo di musica hip hop contornate da immagini non ben definite.

Arrivati alla fine della manifestazione, io e Gio, che nonostante il lavoro da fare abbiamo optato per il motto “conosci il tuo nemico” e siamo stati ogni sera un po’ in finestra a guardare lo spettacolo, ci stiamo domandando: siamo forse diventati vecchi? Non è che noi non si ami la musica, o il vj-set, o il dj-set, o la Visual Art sperimentale, è che proprio non riusciamo a capire cosa ci sia di così interessante, nuovo, emozionante nel sentire delle urla, comprensive dell’eco dei parcheggiatori vicini, e nel vedere affettare zucchine a tempo di hip hop… che emozione dovrebbe regalare? quale senso dovrebbe far vibrare? quale acuto pensiero suscitare?
Insomma, cosa significa? Se qualcuno ce lo sa spiegare, ben venga.

Dedicato

a Fernando, che era quasi un papà anche per me…

a Tommaso, che conosceva anche la lingua degli gnomi..

L’amico che dorme

Che diremo stanotte all’amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce. Guarderemo l’amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell’antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo. Il remoto silenzio
soffrirà come un’anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.
Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell’ansia dell’alba,
che verrà d’improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio. L’inutile luce
svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
taceranno. E le cose parleranno sommesso

Cesare Pavese

Le forme del sapere nella rete

Si procede piano piano, ma si procede. Per ora noi abbiamo cominciato con l’organizzare questo incontro.
‘Noi’ saremmo gli ex studenti di Giuseppe Gigliozzi, e/o ‘collaboratori’ del CRILet, e/o gruppo di amic*. E gran parte di quello che stiamo cercando di fare, lo facciamo anche per proseguire ciò che aveva iniziato lui, e lo facciamo cercando di portarci dentro il suo ‘sorriso azzurro’ e la sua ironia. Altrimenti non riusciremmo a danzare tra proroghe e fazioni varie, saltando e spingendo come muli cocciuti per ottenere che qualcosa si smuova.

Quindi, grazie Giuseppe. In primis.

Poi. Questo incontro è una prima tappa del nostro percorso. La seconda sarà per questo inverno, e ne parlerò in seguito. Per ora, ecco il comunicato dell’incontro.

Il giorno 25 giugno 2007 alle ore 16.30 presso lÂ?aula VI della Facoltà di Scienze Umanistiche, Sapienza, Università di Roma, si svolgerà il seminario “Le forme del sapere nella rete“.

L�incontro, organizzato in rapporto alle attività del CRILet (Centro Ricerche Informatica e Letteratura), sezione del Dipartimento di Studi Filologici, Linguistici e Letterari, si pone l�obiettivo di aprire un dibattito rivolto a docenti, studenti, personale amministrativo delle facoltà umanistiche e a chiunque sia interessato alle attuali caratteristiche formali dei contenuti del web.
LÂ?incontro intende presentare due volumi appena pubblicati che analizzano lÂ?argomento e lÂ?iniziativa dell’enciclopedia libera Wikipedia.

Il primo libro di Ippolita, Luci e Ombre di Google – Futuro e Passato dell’Industria dei Metadati (Feltrinelli, 2007), racconta cosa si nasconde dietro il motore di ricerca più consultato al mondo; Ippolita è il nome collettivo che ha firmato anche il libro Open non è Free (Eleuthera, 2005) ed è un server indipendente per iniziative editoriali.

Il secondo libro di Ian H. Witten, Marco Gori, Teresa Numerico, Web Dragons: Inside the Myths of Search Engine Technology (Paperback, 2006), spiega come è possibile trovare in rete le informazioni di cui abbiamo bisogno attraverso i Â?draghiÂ? che custodiscono la biblioteca virtuale del Web. Gli autori sono Ian Witten, docente di Computer Science presso l’Università di Waikato; Marco Gori, docente di Intelligenza artificiale presso l’Università di Siena; Teresa Numerico, ricercatrice in Filosofia della Scienza presso l’Università di Salerno.

LÂ?enciclopedia collettiva Wikipedia si occupa di catalogare il sapere mondiale grazie a una serie di corrispondenti liberi sparsi in ogni nazione.

Interverranno alla presentazione:

  • Andrea Marchesini, coautore di Luci e ombre di Google
  • Teresa Numerico, coautrice di Web Dragons: Inside the Myths of Search Engine Technology
  • Frieda Brioschi, presidente del Comitato Direttivo dellÂ?associazione Wikimedia Italia, promotrice, per lÂ?Italia, del progetto dellÂ?enciclopedia libera Wikipedia

L�incontro rappresenta un�occasione di riflessione sulle iniziative editoriali innovative nate nel web e sulla mutazione delle forme del sapere che ne è derivata. Alla presentazione seguirà una tavola rotonda sul tema.

Saranno presenti:

  • Isabella Chiari, docente di Linguistica computazionale, Sapienza, Università di Roma
  • Fabio Ciotti, docente di Informatica applicata alle scienze umane, Università di Torvergata
  • Stefano Epifani, docente di Organizzazione e gestione della comunicazione interattiva, Sapienza, Università di Roma
  • Domenico Fiormonte, docente di Linguistica generale, Università Roma Tre
  • Myriam Trevisan, docente di Informatica Umanistica, Sapienza, Università di Roma

Gaypride, per dire

E se Bush viene a Roma per parlare con i ‘nostri’ capi di stato, quando magari stesse zitto a vita sarebbe cosa buona. E se il dottor Fournier non parla per 6 anni per un insano ‘spirito di appartenenza’ e tace una verità che tutti sappiamo. E se i giornali per parlare di Genova e del processo per i fatti della Diaz aspettano le deposizioni di funzionari statali, ignorando molte altre voci.

Se tutto questo accade, per fortuna accade anche che una città che solo sabato scorso era militarizzata per visite inopportune, oggi sia stata teatro di una festa colorata, libera e gioiosa.

Una festa per dire tre parole: libertà, dignità, laicità.

Oggi mi sono presa la prima pausa dopo quasi dieci giorni di lavoro disumano senza soluzione di continuità, per dirle anche io.

E sono andata al Gaypride.