Mestruazioni, non ne farei a meno

In ritardo. Come al solito in ritardo. L’idea era di ieri, e io ci scrivo un post oggi. Ma sai com’è, in questi giorni mi stanno arrivando le mestruazioni, e il mio umore è labile. Quindi ci ho messo un po’ di tempo a decidere se scrivere o non scrivere questo post 😉

Perché, pensavo, in fondo ho sempre vissuto in ambienti dove si diceva senza remore: oh, eddai, lo sai che sto così, mi stanno per arrivare le mestruazioni. Oppure: aspe’ che mi vado a cambiare l’assorbente. O ancora: devo prendere l’analgesico che c’ho il mal di pancia da mestruo, un’ora e poi passa. Insomma, mai vissute le mestruazioni come qualcosa di cui non si deve dire, come le innominabili me strua zio ni.

Eppure, ricordo una volta al liceo, due mie compagne di classe dovevano passare un fine settimana con alcuni loro amici fuori Roma, ed erano parecchio agitate, perché entrambe avevano le mestruazioni. Ricordo ancora la loro gioia al ritorno, nel dire: è andato tutto bene, non se n’è accorto nessuno.
E ricordo però anche la madre di una delle mie migliori amiche, una femminista storica parecchio convinta [la madre, non la mia amica], che quando un maschio si provava a dirle dietro per strada: ciao bella, ci vieni con me? rispondeva: eh, se te piace ar sugo!
Adesso, tra il nasconderle e il farne uno sfoggio un po’ sguaiato ce ne passa parecchio… ma quest’idea di scriverne un post è divertente, e forse può essere anche utile.

Magari potrebbe aiutare qualcuno a capire che se ogni tanto tendo al drammatico, e sembro più litigiosa del solito, e divento ipersensibile, basta dare un’occhiata al calendario, e voilà, tutto è più chiaro: mi stanno per arrivare le mestruazioni. Eh, tanto per capirci, mi sono arrivate proprio oggi 😉

Già, i giorni difficili non sono durante, ma prima. Durante per me è solo questione di analgesici e assorbenti, interni, per favore, assolutamente interni. Prima, invece, è un disastro. Seno gonfio, mal di testa, desiderio animale, fame incontenibile, malumori, crisi di senso, melodrammi in agguato, nervosismo latente.

Detto ciò, non ne farei a meno per niente al mondo. Per niente al mondo mi farei sottrarre questa marea di emotività galoppante, né gli istinti animali, né la magnifica sensazione di benessere quando il flusso si fa vivo e si ricomincia a contare [sul sito delle mie amiche di A/matrix c’è un bell’articolo, che gira anche altrove in rete, di Monica Lanfranco sulla pillola contro le mestruazioni]

Occhio, però, se quando mi vedi di umore labile, controlli il calendario e non è periodo di mestruazioni imminenti, allora vuol dire che sono incazzata davvero e di brutto 😉

Una parola da brivido

A volte, nella vita, capitano situazioni in cui si è lì che si aspetta. Le giornate passano, si lavora, si legge, si intavolano conversazioni coi vicini, si fa la spesa, si porta fuori il cane. Insomma si vive la quotidianità solita o meno solita e si prova la gamma di emozioni varie che ognuno di noi è in grado di provare. C’è tuttavia una piccola parte di noi che aspetta. E’ in attesa.
E non parlo di quell’attesa per cui si aspetta qualcosa di grande, ma di non ben definito, tipo, che so, innamorarsi, svoltare il lavoro che abbiamo sempre voluto, vincere alla lotteria un viaggio intorno al mondo. No, non parlo di quell’attesa lì, ché pure può capitare di vivere. Ma no, non quella.

Parlo dell’attesa di qualcosa di preciso, l’attesa di una risposta che deve arrivare, di un risultato, di un verdetto. Si sa quando, si sa da chi, si sa il come e il dove. Per dire, nei legal-movie americani è l’attesa di quel momento in cui il rappresentante della giuria si alza e dice: riteniamo l’imputato.
Ecco, quell’attesa. L’attesa di una parola. Colpevole o Innocente. Promosso o Bocciato. Me ne vado o Resto. Positivo o Negativo.

Quell’attesa spesso converge tutta su una parola. E quando quella parola viene letta o ascoltata, proprio in quell’attimo preciso, non prima, non dopo, ci prende un qualcosa nello stomaco. Quella parola, quel solo attimo, è una pelle d’oca dentro, è un brivido repentino nello stomaco, un terremoto interiore concentrato in una frazione di secondo. In una parola, appunto. Quella parola dice molte altre parole, senza dirle.
Poi arrivano la gioia o il dolore, nelle infinite loro sfumature, a seconda della parola, e dell’attesa, e della situazione.
Quella parola oggi a me ha portato un bel senso di leggerezza, durato per qualche ora. Non mi ha cambiato la vita, ma mi ha scasinato lo stomaco per bene.

P.S. Effe ha concluso uno splendido post con un bell’esempio di come si potrebbe conteggiare lo scorrere della vita attraverso le parole. Mi chiedo, giocando un po’ con le parole: una parola come quella mia di oggi, che da sola ‘non ne dice’ molte altre già dette altrove, come andrebbe contata?

Zucchine julienne a ritmo di hip hop

Quattro giorni di Live Performers Meeting, un bel palco posizionato proprio a ridosso del muro dove si apre la mia finestra dello studio, amplificatori in pompa magna ben posizionati verso l’alto, spettatori che ascoltano e commentano e ridono e cicaleggiano. Come dire: se non vuoi scendere sotto casa, puoi tranquillamente goderti lo spettacolo nella comodità della tua abitazione, volendo anche dal cesso, tanto si sente benissimo, tutto.

Ora. Che tutto ciò potrebbe anche rendere felice qualcuno, ne sono sicura, però vorrei che chiunque sia questo qualcuno, provasse tutto l’anno a vivere in un palazzo circondato dal 25% dei locali di Roma, a ricevere alle tre di notte le visite dei vicini di casa che, con la pressione a duemila, gli occhi rossi di sonno [o rabbia?], vengono da te a cercare conforto e tisane rilassanti e a comunicarti le ultime acrobazie tentate per ottenere un po’ di silenzio tanto da far dormire almeno i bimbi.
Ma lasciamo perdere, che qualcuno si provi, se desidera, gli presto la stanza, ho un fantastico divano letto, nello studio.

Dicevo, invece, sono quattro giorni che volente o nolente mi sorbetto queste perfomances sperimentali di dj-set, vj-set, food-set, turntable musician, scratchmusic, acting audio video performance ecc. ecc.
Venerdì erano varietà di grida e urla mixate con sottofondo di immagini di chi grida e urla; ieri scratchate molteplici e brusii vari, oggi verdure alla julienne disposte su lastre di plastica trasparente a tempo di musica hip hop contornate da immagini non ben definite.

Arrivati alla fine della manifestazione, io e Gio, che nonostante il lavoro da fare abbiamo optato per il motto “conosci il tuo nemico” e siamo stati ogni sera un po’ in finestra a guardare lo spettacolo, ci stiamo domandando: siamo forse diventati vecchi? Non è che noi non si ami la musica, o il vj-set, o il dj-set, o la Visual Art sperimentale, è che proprio non riusciamo a capire cosa ci sia di così interessante, nuovo, emozionante nel sentire delle urla, comprensive dell’eco dei parcheggiatori vicini, e nel vedere affettare zucchine a tempo di hip hop… che emozione dovrebbe regalare? quale senso dovrebbe far vibrare? quale acuto pensiero suscitare?
Insomma, cosa significa? Se qualcuno ce lo sa spiegare, ben venga.

Dedicato

a Fernando, che era quasi un papà anche per me…

a Tommaso, che conosceva anche la lingua degli gnomi..

L’amico che dorme

Che diremo stanotte all’amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce. Guarderemo l’amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell’antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo. Il remoto silenzio
soffrirà come un’anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.
Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell’ansia dell’alba,
che verrà d’improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio. L’inutile luce
svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
taceranno. E le cose parleranno sommesso

Cesare Pavese

aNobii

Spesso, quando si legge, si prova quello che Roland Barthes chiama “erotismo della lettura” (Il brusio della lingua, Einaudi, 1988) .
Barthes dà tre definizioni che evidenziano tre diversi aspetti dell’erotismo della lettura:

  • metaforico-poetico, in cui è la disposizione stessa delle parole, il modo in cui si muovono e creano disegni, che produce piacere in chi legge, in una sorta di “erotismo della parola”
  • metonimico, in cui il lettore viene catturato dal desiderio di scoprire cosa accade dopo, dalla suspence, dalla sorpresa, “dal disvelamento di ciò che è nascosto”
  • il desiderio di scrittura, in cui il lettore coglie leggendo quello stesso desiderio che ha provato l’autore nello scrivere, “l’amatemi implicito in ogni scrittura”

Ora, tutta questa noiosa filippica che spesso propino ai miei studenti per introdurre il discorso su lettura e scrittura digitale, a cosa serve?
A niente, se non a parlare di aNobii, social network che stimola l’appetito del lettore, disintossica dai rumori del marketing editoriale, risveglia la recensione libera e condivisa, incrementa gli approfondimenti amicali (e se volete saperne di più prima di cascarci anche voi, basta leggere l’articolo di Pietro Izzo su Apogeonline).

Io già ci sono cascata, e ci sto facendo cascare anche altri amici erotici della lettura 😉

Buoni e cattivi [OT, ma quanno ce vo’, ce vo’!]

E’ una delle telesine che preferisco, insieme a massimi e minimi. O all’avvelenata, quando voglio giocarmi il tutto per tutto. E comunque, i cattivi battono i buoni. Poi, è con le carte uscite tra i buoni, che si vince, ma questa è un’altra storia. O forse è la stessa. Non so.
So che si dice sempre che il buono è stupido, il cattivo è furbo. Mah.
E va bene, la cattiveria va di moda, l’egoismo viene riverito, il menefreghismo viene rispettato.

Ma ora veramente mi sono rotta di sentirmi dire dagli amici più cari che devo diventare cattiva.

Avete presente quelle serie televisive, non so, tipo Alias, 24, o anche Lost, in cui i buoni, poi si viene a sapere che fanno il doppio gioco, e in realtà sono cattivi. E poi ancora si scopre che il gioco è triplo, ed era tutta una finta, sono buoni davvero. E poi di nuovo, no, che la verità ha bisogno di tempo, e quindi con un saltodoppiotriplomortale si capisce che sono cattivi, e come se lo sono!

Allora. Fate quel saltodoppiotriplomortale con piroetta finale e vedrete che in realtà io sono cattiva. Cattivissima.

Ecco, ora lo sapete. State attenti.

5 incipit di libri

Dovrei in realtà finire di scrivere il terzo post-litcamp, ma intervallo per dare retta alla catena che mi ha passato Giuseppe, che perdono solo perché non sa ancora quanto non sopporto le catene [ora lo sai 😉 ]

La catena vuole che io riporti i 5 incipit dei libri più importanti per me. Non mi viene facile, ché selezionare è sempre una sottrazione, e 5 libri son pochi, eh si. Ci provo comunque.

Heminqway, Festa mobile
[sarà che volevo fare la scrittrice… ma andai a Parigi convinta, da questo e altri libri, di trovare qualcosa… che non trovai. Ma trovai altro, e meno male!]

Poi veniva la brutta stagione. Alla fine dell’autunno, in un solo giorno, cambiava il tempo. Di notte dovevamo chiudere le finestre perché non entrasse la pioggia e il vento freddo strappava le foglie dagli alberi di Place de la Contrescarpe. Le foglie giacevano fradicie nella pioggia e il vento spingeva la pioggia contro il grosso autobus verde al capolinea e il Café des Amateurs era gremito e le vetrine appannate dal caldo e dal fumo dell’interno.

Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso
[non so, sono rimasta sempre affascinata dal frammento casuale, dal dettaglio ingigantito fino all’assurdo, e ahimé, dall’ottusa psicoanalisi dei gesti e delle parole…]

La necessità di questo libro sta nella seguente considerazione: il discorso amoroso è oggi d’una estrema solitudine. Questo discorso è forse parlato da migliaia di individui (chi può dirlo?), ma non è sostenuto da nessuno; esso si trova ad essere completamente abbandonato dai discorsi vicini: oppure è da questi ignorato, svalutato, schernito, tagliato fuori non solo dal potere, ma anche dai suoi meccanismi (scienze, arti, sapere).

George Simenon, L’uomo che guardava passare i treni
[Popinga è il personaggio che più di altri mi è rimasto addosso, lo sentivo sempre accanto a me, tanto che mi giravo spesso di scatto per coglierlo in flagrante…]

Per quel che riguarda personalmente Kees Popinga, si deve convenire che alle otto di sera c’era ancora tempo, perché a ogni buon conto il suo destino non era segnato. Ma tempo per che cosa? E poteva lui agire diversamente da come avrebbe poi agito, persuaso com’era che i suoi gesti non fossero più importanti di quelli di mille altri giorni del suo passato?

Jean-Claude Izzo, Solea
[amo l’intera trilogia di Izzo, la capacità di incazzarsi con la vita per la sua violenza e riuscire ad amarla per i suoi dettagli]

La sua vita era laggiù, a Marsiglia. Laggiù, dietro quelle montagne che, stasera, il sole al tramonto colorava di un rosso vivo. “Domani ci sarà vento” penso Babette. Da quando, quindici giorni prima, era arrivata a Le Castellas, un villaggio delle Cévennes, alla fine della giornata saliva sul crinale. Percorrendo il sentiero dove Bruno portava le capre. Qui, aveva pensato il mattino del suo arrivo, nulla cambia.

Siri Hustvedt, Quello che ho amato
[difficile riuscire a trasmettere a parole l’emozione che dà un dipinto, e il dipinto stesso. Soprattutto se il dipinto in questione non esiste. Ma andando avanti nel leggere ho capito che per Siri Hustvedt tutto è possibile. Questo libro è un capolavoro]

Ieri ho trovato le lettere di Violet e Bill. Nascoste tra le pagine di un libro, sono sgusciate fuori spargendosi a terra. Ero al corrente della loro esistenza da anni, ma né Bill né Violet mi avevano mai confidato nulla sul contenuto. Sapevo soltanto che, pochi minuti dopo aver letto la quinta e ultima missiva, Bill, prendendo una drastica decisione sul suo matrimonio con Lucille, era uscito dall’appartamento di Greene Street e si era diretto senza indugio a casa di Violet, nell’East Village.

Ecco, forse ce l’ho fatta. Ho aggiunto due note personali a ogni libro, perché … non so perché, forse per dare un mio significato a questa selezione.
Ora credo mi tocchi passare la catena, ma sarei tentata di non farlo… Vabbé, Gully, Leu, Biccio, se vi va, andate avanti voi, o chiunque altro voglia 🙂

Post-LitCamp n. 2 – Tra tomi e bit

Spesso d’estate me ne vado una decina di giorni alla casa che abbiamo in Puglia. Lì ho vari amici che vedo solo di tanto in tanto. Tra questi c’è Francesco, l’avvocato. Con lui, oltre alle nottate estive di feste e giri in macchina per i paesini pugliesi, ho condiviso negli anni le ore più calde sugli scogli, lui munito di libro e crema abbronzante [ha la carnagione scura e non si scotta mai], io di libro e crema protettiva [sono capace di scottarmi pure dopo un mese che sto al mare].

Magari ora uno si chiede che c’entra con il LitCamp. Eh, c’entra, ché si parla di tomi e bit anche in spiaggia 🙂

Quando l’estate scorsa ho incontrato Francesco, mi ha detto subito: ah, finalmente si parla di libri! E infatti abbiamo cominciato a raccontarci le ultime letture fatte. Sembrava tutto come ai vecchi tempi, ma dopo poco ho capito che ogni libro di cui mi parlava, era un libro che lui si era scaricato da Internet, e che aveva letto su un e-book. E abbiamo abbandonato i contenuti per passare ai supporti. Mi ha citato una marea di posti in rete che non conoscevo, e sì che ne conosco tanti, dove reperire libri digitalizzati, anche pubblicati da poco. Anzi, chiedeva a me come potevano aver risolto il problema dei diritti. Ma come, non eri tu l’avvocato? Il resto del tempo è volato a confrontare le due modalità di lettura, di conservazione e di interazione con l’oggetto libro, cartaceo ed elettronico.

Sono uscite più o meno le medesime considerazioni di cui ha parlato DELyMyth nella sua efficace e chiara presentazione al LitCamp, e di cui parla l’amico Fabio Ciotti in un libro un po’ datato, ma ancora interessante, nel capitolo sul mondo degli e-book.

In effetti da tutti i punti di vista i libri elettronici sono migliori: consumano meno l’ambiente [non si devastano foreste per la carta], invadono meno i nostri spazi [molto più posto in casa e più abitazioni o luoghi di ritrovo in città], inficiano meno il nostro fisico [i libri pesano, quando parti per la vacanza all’estero, o quando a scuola ogni insegnante pretende che porti il libro di testo della sua materia], costano meno [eh si, a parte il cospicuo investimento iniziale di uno qualsiasi dei lettori digitali, che sia un e-book o l’ultimo nato Iliad], sono, ma solo per la manualistica tecnica, meno inquinanti quando ormai dicono cose inutili. Per non parlare del fatto che fanno risparmiare una marea di tempo a chi, come me, informatica umanistica, si ritrova di tanto in tanto a perdere ore in scansioni e ocr vari per poter ottenere dei testi digitali da codificare e analizzare.

Ci ho pensato assai, dopo il LitCamp, così come ci penso ogni volta che ritorna l’argomento in qualche discussione tra umanisti o tra amici bibliofili. E ogni volta concludo che no, mai!. I libri elettronici non potranno mai sostituirsi ai libri cartacei. E’ una questione di tatto, nel senso di toccare la carta, di olfatto, nel senso di sentirne l’odore, di udito, nel senso del rumore familiare delle pagine voltate. Non credo il libro sia un feticcio, credo solo sia un oggetto che fa parte della nostra intimità, con cui si instaura un rapporto caldo, e non riesco a immaginare una cosa del genere con un file. Ogni volta dunque che affronto l’argomento dei libri elettronici penso questo. Penso ai sensi, alle emozioni, all’intimità del libro.

All’inizio. Poi però rifletto, e ricordo quando disegnavo con tanta cura le fodere delle cassette audio che mi registravo, o collezionavo vinili, o riempivo le mura di casa di videocassete. Ho ancora tutto. Comprese due mura di casa piene di videocassette. Ma alla fine se devo ascoltare musica uso l’ipod o il computer, e in auto vado di mp3 o di cd, e se devo vedere un film idem, c’è la rete e gli hard disk esterni, per ora, poi chissà che altra diavoleria uscirà fuori. E le videocassette le guardo solo per quei film talmente vecchi o particolari che non si trovano da nessuna parte.

E allora credo che i libri elettronici potranno davvero sostituire, un giorno, i libri cartacei. Non so quanto ci vorrà, lascio queste considerazioni a sociologi, commercianti, imprenditori, futurologi.

Su di me, non so dire. Per ora sono fermamente convinta che non abbandonerò mai i libri cartacei. Mi piace troppo spiegazzarli e ciancicarli e poi ritrovarli ‘vissuti’. Ma i tempi cambiano, e anche le persone…

Post-LitCamp n. 1

Avrei voluto scriverlo prima, questo post sul LitCamp. Ma.
Lunedì mentre tornavo da Torino e cercavo di recuperare il sonno perso in giri notturni ai Murazzi e chiacchiere nottambule in appartamenti vari, ricevo dal lavoro un terrificante annuncio di emergenza immediata e una convocazione di riunione per la mattina dopo alle 9.00.
Senza nemmeno il tempo di rielaborare pensieri, facce, e accadimenti torinesi, mi tocca disdire una miriade di appuntamenti presi, rimandare alla settimana successiva tutti gli altri lavori, rispondere alle telefonate di improperi [che prontamente rigiro al ‘capo’], inventare scuse valide per i lavori che svolgo per conto mio. E ovviamente affrontare l’emergenza, che consiste nel trovare idee 2.0 per una rivista online. Priorità assoluta.

Per cui niente tempo, ma soprattutto niente testa per fare altro, se non lanciare qualche twitt ogni tanto. Santo twitter, piccola finestra nel mondo della rete!

Sabato mi riposo, al massimo leggo un po’ dei feed arretrati. Domenica mi ritrovo un buco nello stomaco, ma già so cos’è, ci sono abituata. Mi piazzo a letto con il computer e un necessario bicchiere di latte fresco, sbrigo il lavoro che ho dovuto rimandare e finalmente scrivo il post sul LitCamp. Anzi, i post.

Già, perchè questo è il primo. Quello in cui lodo la perfetta organizzazione di arsenio bravuomo ed effe, e insieme a loro ringrazio chiunque abbia contribuito a: l’ospitalità nello splendido palazzo del Circolo dei Lettori, le sale attrezzate con strumentazione varia, le sedie comode [addirittura due monodondoli in bambu], il ricco buffet offerto da San Lorenzo, la diretta radio da radio catrame19, la diretta video con il mitico Robin Good, accoccolato in svariate posizioni accanta al balcone fumatori, salvo qualche scorribanda nelle sale di tanto in tanto, al solito suo. E, ovviamente, la piacevolissima cena Litnait.

Questo è anche il post in cui saluto le persone che ho conosciuto, poche, perché con l’età sono diventata un po’ timida, salvo che sul lavoro…
Innanzitutto DELyMyth, super girl tecnologica con un’energia che farebbe invidia a un’eroina manga; eiochemipensavo, cui mi sono presentata alla faccia della timidezza dicendo: ehi, ogni tuo post mi regala un sorriso [azz, che frase orribile, per fortuna eio soprassiede con eleganza e mi racconta meglio dei fincipit]; quel saltapicchio parlante di Strelnik, con il suo Pinokkiaccio sempre appresso, e mille idee meravigliose per la testa, che spero porti avanti; arsenio bravuomo, che dopo essersi ottimamente tenuto dallo spoilerarmi su Lost [sono rimasta per scelta e per ora alla seconda stagione] insieme a Axell e altri lancia il LostCamp, e come non partecipare, addicted come sono alle serie televisive? E parlo con altre persone con cui mi scuso, ‘che non ricordo il nome né il blog o altro. Avrei anche voluto conoscere Nastenka, visto che ci aveva scritto quando mettemmo online soultube, e che ha un bellissimo blog sui treni, avevo letto che sarebbe stata presente, ma non ho saputo trovarla, se c’era…

Invece riconosco Etere e Mescaline, e Mafe, e elena, e sonetti, e tanti altri, che leggo sempre, ma datosi che come già detto sono diventata timidina, non vado nemmeno a presentarmi, ‘che già la mia bella fatica l’avevo fatta con eio. Vabbè, mi dispiace, sarà per la prossima volta, tanto ormai la strada dei barcamp la conosco, anche se non reggo il ritmo di uno a settimana…

Questo infine è il post in cui ringrazio Tiziana per tutto, e dico tutto, e lei sa cosa intendo; Claudia e Damiano per l’ospitalità di una notte e un giorno di compagnia piacevolissima, e che spero di rincontrare appena saranno a Roma, visto che si muovono verso sud; Luca per l’ospitalità di due notti, per averci portato in giro a vedere Torino a ore inopportune, per le chiacchiere e le gattonate per la stanza, per esserci sempre, lui e le troike dei boiari che scampanellano lungo la prospettiva Nevskij.
E ora lascio la parola ai post tematici, perchè mi piace continuare a riflettere su alcune cose che di cui si è parlato al LitCamp, e perchè credo che a questo servano, i barcamp: a confrontarsi, conoscersi, raccogliere la farina dal tavolo per farci il pane, ma anche a dare stimoli di riflessioni collettive. Gli altri post sul LitCamp arriveranno presto, il tempo di coordinare le idee.

LitCamp alle porte

Mancano due giorni al LitCamp, che si svolgerà a Torino il 12 maggio. Adesso non mi ci provo neanche a spiegare cos’è, vista la fatica che ho fatto per farlo capire ad alcuni amici e anche ai miei genitori, che comunque alla fine sono svegli e hanno capito. Per chi non lo sa, sappia solo che è una giornata di chiacchiere aperte e partecipate e di incontri e confronti, e se vuole approfondire trova delle belle spiegazioni su barcamp.org.
Nel caso del LitCamp, il barcamp è a tema, e il tema è la letteratura in rete, nel senso di scrittura, lettura, editoria, giornalismo.

E dunque, per una come me che da anni c’ha la fissa della scrittura creativa e collaborativa in rete, e che tartassa i suoi studenti facendogli inventare ipertesti narrativi, e che, oltretutto, ci si è pure laureata, in una cosa che si chiama ‘informatica umanistica’… era impensabile non andare al LitCamp.

Per non parlare [e infatti non so se ne parlerò, ‘che sono pure timida…] della nostra ‘metropolitana che scrive’, www.soultube.org, progetto cross media immaginato e sviluppato insieme ad altri tre amici e messo sul web in quattro lingue, e di cui esiste pure, su carta, per ora, un format televisivo e un gioco ‘letterario’ per telefonia mobile.

Per cui, ovvio, domani parto per Torino, con la fida amica di Feramenta, anche lei con i miei stessi interessi e la mia stessa strana laurea, e vado a partecipare [si, perchè timida sono timida, ma ascolto e parlo pure una cifra…] a discussioni che già dal post al posto dei post-it mi sembrano interessantissime. Le trovate sul blog del LitCamp.

E visto che ci sto, venerdì faccio un salto alla Fiera del Libro, e saluto qualche amico torinese che non vedo dai tempi dell’Argentina. E magari al LitCamp riesco pure a conoscere di persona qualcheduno di quelli che scrivono i blog che leggo.