Spogliarsi per un buon motivo

State vedendo Fraktalia nella sua nudità perchè ho deciso di aderire anche io all’iniziativa CSS Naked day di Dustin Diaz. Azione simbolica che si ripete ormai da qualche anno per ribadire l’attenzione agli standard dei linguaggi web, dell’accessibilità e dei marcatori semantici.

Ho tolto quindi i miei fogli di stile, e quello che ne viene fuori è veramente… orribile, lo so. Magari mi verrà voglia di rimettere un po’ le mani sui template, forse chiedendo l’aiuto del fido amico accessibility expert, per dare una sistemata radicale. E sarebbe ora. Altrimenti si predica bene e si razzola male 😉

Se decidi di spogliarti anche tu, non dimenticare di segnalarlo sul sito dell’iniziativa.

BlogLab e teste rotte

Venerdì sono stata alla presentazione del BlogLab a Scienze della Comunicazione a Roma. Interessantissima iniziativa, che vede coinvolte l’Università La Sapienza di Roma, l’Università di Firenze e l’Università di Urbino. Causa solite emergenze lavorative, sono arrivata tardi, e non sono riuscita a sentire tutti i blogger presenti, [Antonio Sofi, Diego Bianchi, Mauro Lupi, Tony Siino, Alessio Jacona, Antonio Pavolini, Vito Antonio Bonardi, Federico Venturini e Francesco Biacca], ma ho visto molti di loro, capitanati da Stefano Epifani, passarsi il gelato [eddai, il microfono!] uno dopo l’altro e incantare una platea di studenti. E soprattutto ho visto gli studenti divertiti e attenti [succede, ma mica spesso!]. Giusto un po’ di timidezza, poche domande. Ma forse questo è uno dei mali della vecchia impostazione docente/studente, per cui c’è sempre quel minimo di soggezione che gli studenti si portano appresso, e che qualche professore scambia per rispetto per l’autorità. E ovviamente non era questo il caso, ma vaglielo tu a spiegare agli studenti?
[capita che te docente ti senti magari un po’ diverso o fai una qualche tipo di lezione non frontale e non monologante e ti trovi a dover faticare assai a far uscire qualche parola libera e disinvolta agli studenti ossequiosi].

Nel BlogLab, comunque, i blogger che seguiranno gli studenti sono definiti “fellow”, per indicare, e lo dice proprio Stefano in un suo post di presentazione “come non vi sia, nel rapporto tra blogger e studente, alcun ruolo di “dominanza””.
Il BlogLab infatti è un laboratorio in cui gli studenti si fanno il proprio blog, con il supporto del blogger “fellow”, e possono scegliere se fare un blog locale, raccontando un territorio, o un blog tematico, parlando di un tema da loro scelto. E non importa se non sono ferrati sull’argomento d’elezione, impareranno anche a cercare informazioni, elaborarle, farle proprie. Perché avere un blog è anche questo. E allora ben venga BlogLab, con cui l’università prova a svecchiarsi un po’, e forse ci può pure riuscire.

Forse. Prima di prendere per vere le mie stesse parole [ovviamente mi riferisco a: ‘e forse ci può pure riuscire’], devo fare una verifica. Devo vedere se riesco a portare il BlogLab nella mia facoltà. Tra quei professori che si fanno stampare le mail in segreteria per leggerle comodamente seduti nel loro studio, in cui magari troneggia un computer che soffre di inattività da quando è arrivato lì. In quella facoltà dove l’amatissimo Prof. Gigliozzi, che ancora ci manca, mise in piedi il CriLet per portare l’informatica umanistica in Italia, CriLet che, ora che lui non c’è più, è stato svuotato e trasformato in uno studio dove sì, certo, ci sono ancora una decina di computer e altri strani aggeggi, ma alcuni hanno la muffa, altri, pur se innocenti, sono stati condannati a essere solo macchine da scrivere [con tutto il rispetto per le macchine da scrivere dal ticchettio sublime].
In quella facoltà dove se chiedi cos’è un blog in aula con 250 studenti, meno di metà sa di cosa stai parlando. Mentre tra i docenti è del tutto inutile anche solo fare la domanda. Tanto la risposta è ovvia. In quella facoltà dove proporre qualcosa di diverso dal solito è impresa ardua, che comporta una scelta precisa: sbattere la testa su un muro di mah, per ora no, non rientra nell’offerta didattica, a che serve, ecc. ecc.

Comunque non mi fascio la testa prima che sia rotta. Preferisco provare a rompermela ancora per un po’. Qualche collega di facoltà già è interessato al BlogLab. Vuol dire che almeno la testa ce la romperemo insieme.

CitizenCamp o Cross Media?

Sabato prossimo, 24 marzo, ci sarà il CitizenCamp a Casalecchio di Reno. Un barcamp a tema, stavolta, sulla cultura della cittadinanza democratica, sulla democrazia elettronica, organizzato da una PA, ma dove sta confluendo buona parte del mondo della rete e dei blogger.

Sabato 24 marzo però ci sarà anche il Cross-Media Day, a Roma, presso l’Auditorium Link Campus. Un incontro sui nuovi [?] scenari tecnologici e creativi del crossing media italiano.

Tralasciando considerazioni logistiche, tipo vivo a Roma faccio prima se vado al Cross Media Day, mi rimangono due possibili ragionamenti da fare, per capire che accidenti fare sabato 24 marzo:

1. sono anni che mi capita di andare a conferenze, convegni, incontri ecc. [tanto alla fine è la stessa cosa] organizzati da università, imprese, network vari. Tranne rari casi, ho sentito poco e niente di interessante… o che non fosse già ampiamente trattato in rete.

2. credo una volta tanto sarebbe interessante parlare di cittadinanza democratica insieme e non solo leggere le direttive o i bandi del governo. E magari si riesce a parlare un po’ anche di Digital Divide… E forse ci saranno anche gli amici di Depp

Quindi, nonostante il mio lavoro mi porterebbe più verso il Cross-Media Day, soprattutto per gli interventi su UGC e mondo televisivo e sulle nuove forme di narrativa, credo che proverò ad andare a Casalecchio. Sempre che alla fine stressanti imprevisti lavorativi non mi costringano a rimanere inchiodata davanti a questo monitor e incollata alla mia sedia garbatellesca. In tal caso ringrazierò chiunque posterà resoconti e appunti vari.

Per ora, invece, mi godo una palla infuocata che si va a nascondere sotto agli alberi del Tevere…

RItaliaCamp

Sto soccombendo sotto sette lavori. Sembra uno scioglilingua ma è la cruda realtà. Il mio disturbo acuto da stress psico-fisico, diagnosticato una settima fa dopo cinque mesi di agonie mediche, non mi dà tregua, ma lo ucciderò, prima o poi.

Nel frattempo aggiornare il blog è diventata un’impresa. E ho capito che devo cambiare atteggiamento. Penso troppo [e lavoro troppo]. Scrivo Poco [se non per lavoro]. Farò diversamente.

Per cui, prima che sia troppo tardi, segnalo il RItaliaCamp, iniziativa della rete per progettare un portale turistico sull’Italia che sia davvero accessibile e usabile, tecnologicamente avanzato e più significativo nei contenuti di quello scandalo che è attualmente Italia.it.

Creative Commons

Ho appena messo tutto Fraktalia sotto Licenza Creative Commons, la licenza, o meglio le licenze, per i contenuti in forma di testo, video o immagini. Le CC si basano sul principio per cui i diritti rimangono all’autore, ma l’utilizzo delle opere è concesso a chiunque, basta che ne rispetti alcune condizioni. Queste condizioni sono in totale sintonia con i principi che regolano il copyleft del software libero, da cui è nata anche la licenza GNU/GPL, sempre per opera del mitico quanto bizzarro Richard Stallman.

In Italia è attiva una sezione del progetto International Commons, guidata dal gentilissimo Prof. Juan Carlos De Martin e un gruppo di lavoro giuridico. Il sito di riferimento è Creative Commons Italia.

Per mettere Fraktalia sotto CC il percorso è stato facile. Niente plugin, pur se ne esistono tanti. Basta andare su sito Creative Commons, rispondere ad alcune domande per definire il tipo di licenza, e si ottiene un codice, completo di link al logo delle CC, da inserire nel footer del proprio blog o dovunque altro lo si voglia mettere.

Le domande cui si deve rispondere servono a definire i permessi d’uso dei propri materiali e stabilirne dei limiti, come per esempio l’utilizzo a fini commerciali o la possibilità di modificare il materiale.

Io ho scelto di concedere l’utilizzo commerciale dei contenuti di fraktalia solo con il mio permesso, e di consentirne la copia e la distribuzione solo se sotto la medesima licenza CC.

Municipio partecipato online

E’ finalmente online il sito municipiopartecipato.it. E’ un’iniziativa del Municipio XI, quello nel quale vivo, ed è stato sviluppato da depp, associazione di alcuni miei amici che si occupano, tra le altre cose, di democrazia elettronica.

Il sito è la versione online della pratica del bilancio partecipato, utilizzata dal Municipio XI e da altri municipi di Roma ormai da vari anni. Per chi non ne ha mai sentito parlare, il bilancio partecipato permette ai cittadini di decidere, assieme al Municipio di appartenenza, come utilizzare i soldi del bilancio. in ogni quartiere si svolgono delle assemblee in cui gli abitanti si dividono in gruppi di lavoro tematici per discutere proposte su questi temi: lavori pubblici, viabilità e mobilità, aree verdi, politiche culturali e politiche giovanili. Le proposte vengono analizzate insieme agli uffici del Municipio per valutarne la fattibilità e poi vengono votate fino a diventare voce di bilancio.

Riportato il meccanismo in rete, diventa un vero e proprio social network in pieno stile web 2.0.

Su municipiopartecipato.it è possibile infatti, dopo adeguata registrazione, segnalare un problema del proprio quartiere, ovviamente all’interno del Municipio XI, leggere i problemi e le proposte presenti, annotare l’interesse per altri problemi, proporre soluzioni ai problemi propri o di altri utenti. L’uso delle mappe facilita la navigazione per zone e per strade.
Sono sviluppate inoltre tutte le funzioni dei social network: proprio profilo personale, messaggistica privata tra utenti, commenti pubblici a segnalazioni o proposte altrui. La grafica è pulita, l’uso intuitivo, gli strumenti funzionali.

Rifletto: sono 9 anni che vivo nel Municipio XI, e nonostante la mia propensione alla ‘politica attiva’, non sono mai andata a un assemblea di bilancio partecipato. Vuoi per prigrizia, vuoi per sfiducia. Ora mi viene fornito uno strumento online che, oltre a essere estremamente semplice nell’utilizzo, mi permette una partecipazione ‘attiva’, critica e propositiva al tempo stesso, e mi facilita l’aggregazioni con i cosidetti vicini di casa.
Non credo che avere uno strumento simile online, vada a discapito della partecipazione alle assemblee. Credo sia vero proprio il contrario: come spesso capita, il mondo dei bit fornisce stimoli per il mondo degli atomi 😉

Blogosfera

Il punto è: io bloggo. Ma a chi? Nel senso, chi legge i miei post? Chi li commenta?

Lavoro sulla rete ormai da anni. Ho tutti amici che lavorano sulla rete. Soltanto alcuni di loro hanno un blog Gully, Lanfranco, Arturo. Che aggiornano raramente, e forse, soprattutto gli ultimi due, più che blog sono repository per i loro articoli, un po’ com’era per me fraktalia per i racconti e le sceneggiature.

Quello che ho capito è che affinché un blog abbia senso deve essere condiviso. Non è come un racconto, che ha senso anche se nessuno lo legge. Un blog ha bisogno di stare nella blogosfera. Per cui leggere i blog non basta, bisogna dialogare.

I commenti servono a questo. E io non ne lascio mai. Grosso difetto, che sto cercando di correggere. In fondo, di persona chiacchiero parecchio, e di mio, scrivo pure troppo. Quindi perché non commento i blog che leggo? Il fatto è che odio le chiacchiere a vuoto, e a volte i commenti che ho letto sono chiacchiere a vuoto. Però è anche vero che spesso chiacchierare a vuoto serve a conoscersi, o indica una curiosità reciproca, o una necessità di smorzare il tono, o connota un interesse comune. O molto altro. Soprattutto in rete, dove nei rapporti con gli altri ogni messaggio è più flebile e al tempo stesso più pregnante.
Vabbè, forse la mia è pigrizia, o forse è la mia antica timidezza che riemerge. Vedremo.

I commenti sono l’anima dei blog? Non lo so. Rigiro la domanda mentre continuo a indagare e riflettere.

Perché Blog

Per come mi conosco, è normale. Prima di fare qualcosa, ci penso e ci ripenso. E ci penso.
I blog stile diario continuano a non piacermi. Anche se, amando molto ‘La finestra sul cortile’, e avendo passato l’adolescenza seduta sul tavolino sotto la finestra a spiare nelle vite altrui, con un bicchiere di porto in mano e un quaderno e una penna nell’altra, dovrei stare zitta e non lanciare la prima pietra.

Il fatto è che dei blog diaristici non comprendo la spinta, la volontà, l’esigenza. Ho sempre raccontato agli amici [uff, questa lingua italiana, non ho voglia di mettere asterischi in ogni dove per indicare il ‘genere’…] o al mio compagno, ex [ahi!], le cose che mi passavano per la testa, o cosa avevo fatto il giorno prima. Per cui, perchè raccontarlo anche a chiunque passi sul mio blog? E infatti non lo racconterò.

Apprezzo molto, però, i blog tematici, o che forniscono informazioni utili, o spunti per riflettere, o stimolano connessioni e collegamenti. Anzi, li leggo ormai quotidianamente. Ho parecchi feeds nel mio google reader… quasi tutti di persone che scrivono di argomenti che interessano anche me, web 2.0, IA, Net TV, UGC, ecc. Quando avrò strutturato bene fraktalia, li condividerò.
E nei blog ‘tematici’, non mi dispiace trovare qua e là qualche post ‘personale’, uno sguardo dentro di sé o fuori da ogni tipo di schermo. Avvicina a chi scrive.
Per cui, lungi da me dire perch* si scrive un blog. Provo a dire perché io sto provando a farlo.

Per condividere le mie scoperte e le mie riflessioni su temi che mi interessano.

Per raccontare qualcosa di me che magari a volte mi sfugge o temo mi sfugga.

Per comunicare scrivendo pensieri che a volte in questo periodo non ho voglia di dire. Forse.

Altri motivi li capirò, appunto, scrivendo.