Alcune persone vivono di piccole cose…
Si portava sempre dietro quella borsa, a voler dare l’impressione di avere ancora qualcosa da fare. Certo non era comodo, camminare per il parco con quel peso, ma lui si sedeva sotto l’albero con Penny, all??ombra. Arrivava presto, la mattina, proprio quando Giacomo apriva il bar, più o meno verso le otto. Non andava subito a prendere il caffé, aspettava che piano piano arrivassero gli altri, per fare colazione insieme. Era abituato ad aspettare. Aveva aspettato che sua moglie svuotasse gli armadi per riempire la valigia, quando lo aveva lasciato dieci anni prima per andare a vivere a Viterbo con il suo ultimo amante; aveva aspettato che al comune scartabellassero uno per uno tutti i referti delle sue analisi al cuore, mesi e mesi solo per ottenere la tessera degli autobus gratuita, grazie al riconoscimento dell??invalidità all??ottanta per cento. Aspettava ogni pomeriggio che arrivassero le cinque per poter uscire e andare a trovare suo fratello, così era sicuro che fosse tornato dal lavoro e avesse già telefonato ai figli per il saluto quotidiano. In fondo tutta la sua giornata era fatta di attese, tranne pochi momenti. E lui si attaccava a quei momenti come fossero l??intera sua giornata. Ogni mattina aspettava che la caffettiera da quattro, rigorosamente preparata la sera prima, borbottasse sul fornello, in barba ai dottori che gli avevano detto ??niente caffé??. Poi andava all??ingresso, alla cassapanca intagliata, dove riponeva la borsa appena entrato in casa, lucidava con un panno umido la vecchia borsa di pelle, la portava in cucina e ci infilava prima la settimana enigmistica, poi il portafoglio, che riposava sotto il suo cuscino tutte le notti. Infine prendeva dal barattolo di biscotti all??arancia inglesi, quello con uno dei lati trasparenti, quattro o cinque bastoncini di midollo per Penny, di cui faceva scorta dal negozio in via delle Rose, perchè la signorina li metteva a quindici centesimi, invece dei trenta di quello in via Giuseppe Friggeri. Sulla metro provava a leggere il giornale, ma ogni volta si fermava alla prima pagina, per la fatica di tenerlo aperto senza spiegazzarlo troppo. Lo ricominciava a sfogliare solo quando arrivava al parco, seduto sotto l??albero, un occhio ai titoli, uno a Penny che rosicchiava il suo bastoncino di midollo accanto a lui. Dopo poco però lo posava, per tirare qualche pigna a Penny. Se trotterellava a prenderla, quella era una buona giornata. Ehi, oggi Penny corre! Gli voleva bene a quel cane grosso e perennemente a dieta. Quando era sposato aveva anche lui un cane, lo portava con sé in tipografia, tanto il padrone non diceva niente. Poi sua moglie se n’era andata, e gli aveva preso anche Paco. Questo proprio non riusciva a perdonarglielo, a sua moglie. Ora c??era Penny, e gli voleva bene. Gli voleva bene anche se non era proprio il suo cane. Era di Marisa, ma lei la mattina lavorava e lui da quasi 8 anni prendeva Penny e insieme se ne andavano al parco. E lì aspettavano che il parco si popolasse dei loro amici. La prima ad arrivare era sempre Alessia, con Toby e Silia, i due meticci con cui Penny era cresciuta. Alessia restava in piedi vicino all??albero, a tirare la palla ai suoi cani, che la riportavano a turno, come da accordi presi in tempi ormai lontani, e intanto chiacchierava con lui. Non c??era volta che non gli chiedesse come stava, se aveva avuto notizie dall??ospedale, se era proprio sicuro di volersi operare. Insieme a Marisa, era l??unica persona che si permettesse quelle domande. Era per questo che non si irritava, e anche perché Alessia riusciva ad affrontare la questione sempre con ironia e buon senso, anche se a volte lo sgridava affettuosamente. Quando arrivavano gli altri, Roberto o suo figlio Francesco con Pluto, Pamela con Stella e i due ragazzi con Mizzi, la compagnia era al completo, e si andava da Giacomo a prendere il caffé. Il bar di Giacomo era aperto ai cani, ma solo nel marciapiedino antistante, tra il bar vero e proprio e il parco, e loro si portavano fuori il caffé e si sedevano sulla panca di muratura che correva lungo tutto il muretto. Quando Giacomo era di buon umore portava lui stesso fuori il vassoio e li serviva uno per uno, accompagnando la tazzina di caffé con battute appropriate. Gli piaceva Giacomo, anche se non aveva molta intimità con lui, gli piaceva la sua giovialità e riconosceva in lui quella durezza triste di chi ha perso troppe cose. E poi lo faceva ridere. A Marisa invece non piaceva, non riusciva proprio a parlarci, lo considerava troppo burlone e allo stesso tempo troppo malinconico, le metteva rabbia, era come se si fosse arreso. Non poteva capire, Marisa, come ci si potesse arrendere. E dai a cercare di convincerla, farle cambiare opinione. Quando si fissava, non c??era niente da fare, non era solo su Giacomo, era su tutto, e da un mese era soprattutto sulla sua operazione. Marisa non voleva che la facesse, diceva che lui si fidava troppo di quella ??dottora??, che invece lo illudeva e gli dava a bere che con una nuova valvola mitralica sarebbe ringiovanito di vent??anni, ??e che davvero? E che non lo sai che i dottori non ti dicono mai le cose come stanno???. Conosceva Marisa da più di trent??anni. Quando era partito per Bologna, per lavorare in quella tipografia più grande, dove aveva vinto il premio come miglior impiegato dell??anno, e fecero la festa nel grande albergo, con tanto di targa ora appesa accanto alla porta, in una bellissima cornice di mogano, le aveva addirittura regalato l??anello di famiglia. Peccato che lei glielo aveva restituito immediatamente, accompagnato da una lettera che lo aveva fatto piangere di rabbia e di commozione. Amici, per sempre solo amici. Era pur sempre qualcosa. E poi, a ben dire, il ??per sempre?? era risultato vero, cosa assai rara, nelle storie di sentimenti.
Lo avevano chiamato ieri pomeriggio. Domani sarebbe entrato in ospedale, e dopo qualche giorno per le analisi, lo avrebbero operato. Certo, aveva paura, era al corrente che l??operazione comportava dei rischi, però non sopportava più l??affanno dopo ogni passeggiata, i mancamenti in metro per il troppo caldo, la paura continua di un altro infarto, e se l??operazione gli avesse regalato davvero un cuore più giovane, allora valeva la pena correre dei rischi. Aveva solo 64 anni, Franco, e voleva vivere ancora, e poter fumare le sue 30 sigarette al giorno senza rimorsi e sensi di colpa. Fu piacevolmente sorpreso dalla reazione di Alessia alle sue parole, si aspettava una ramanzina o qualcosa di simile, invece Alessia, pur parlando velocemente, gli regalò una pacca sulla spalla, ??e dai Franco, forza, alzati, andiamo a prenderci il caffé da Giacomo, godiamoci la giornata, prima che ti rinchiuda in quell??ospedale??.
Quando arrivarono gli altri, Roberto con Pluto, Pamela con Stella e i due ragazzi con Mizzi, Franco e Alessia stavano già chiacchierando allegramente con Giacomo, seduti fuori sul muretto del bar, mentre Penny, Toby e Silia si erano accucciati lì vicino. Giacomo portò lui stesso il vassoio fuori, rimanendo poi a scherzare con loro.
Il resto della mattinata passò come al solito. Passeggiata lungo i viali, cani al seguito, poi tutti sull??erba, e consueto lancio di pigne, e tira, e gioca, e corri. Franco no, sta in piedi e guarda. Partecipa incitando. ??Ehi Pamela, Stella sta facendo cacca??. ??Ti serve una bustina, che oggi ho fatto scorta??? ??No, grazie, ho le mie??. Tutti alla fontanella, i cani hanno sete.
Franco camminava piano, e chiacchierava ora con uno, ora con l??altro. Prediligeva i due ragazzi, quelli di Mizzi, gli ultimi acquisti del parco, erano arrivati solo qualche mese prima, ma già si era affezionato a loro. Erano sempre allegri, e spesso si fermavano ad ascoltarlo, era come se vivessero il parco come un??ora in cui lasciare tutto il resto fuori, lavoro, impegni, stanchezza, e pensare solo al cane. Avevano ragione. Avevano ragione loro.
Altro che quelli che venivano il pomeriggio, che lasciavano il cane scorrazzare in giro per il parco senza neanche controllare cosa faceva, se sporcava, se spaventava qualcuno, se si allontanava. E nel frattempo parlavano e parlavano e parlavano. Gente così il cane non dovrebbe averlo. Gli altri del gruppo se ne stavano andando, ormai erano rimasti solo Franco, Alessia e i due ragazzi. Ma Franco era contento, gli piaceva, quando erano solo loro quattro, si chiacchierava meglio. Si sedettero in cerchio, Alessia in verità voleva andar via, doveva passare dal macellaio, prima di andare a lavoro, e stava anche a piedi. ??Marisa non arriva, oggi, Franco??? ??Che ne so, Ale??, è dalle otto e mezza che sto qui, e Marisa lo sa bene, ma ogni volta che va dalla signora, quella con la gamba rotta, è la stessa storia. Quella la fa uscire a comprare le cose per il pranzo, ma mica spetta a lei, non è mica una cameriera. Eppure Marisa non le dice niente, esce, fa le commissioni, e io qui ad aspettare??. In realtà oggi era contento, di restare al parco più a lungo, almeno si distraeva, almeno non pensava a domani, all??ospedale. Si stava così bene, seduto sotto gli alberi, sull??erba, con Penny accanto a lui, a chiacchierare con gli amici. Che Marisa facesse tutte le commissioni che voleva! Sperava però di non rimanere solo. Ma non disse niente.
Si sedettero in circolo, a fumarsi una bella sigaretta, come fosse un calumet della pace, però senza farlo girare. Ognuno la sua, fumavano tutti e quattro. I cani, anche loro, stanchi di corse e corse, riposavano tutti nella medesima posizione. Era da fargli una foto. Franco si godeva il sole, e la sua sigaretta. Da domani avrebbe dovuto smettere, in ospedale non si fuma. ??Domani entro in ospedale??. Sapeva che Alessia aveva già avvisato i due ragazzi, prima, mentre insieme tiravano le pigne ai cani e Franco era più distante, ma ci teneva a dirglielo lui stesso. ??Ti veniamo a trovare, dai. E poi vedrai come starai meglio, quando esci!?? ??Sarò vent??anni più giovane, e allora state attente, femmine, che potrò di nuovo corrervi dietro??. Franco sapeva che i due ragazzi gli volevano bene, e sentiva il loro disagio e la loro preoccupazione. Il suo cellulare. Uno squillo solo. Era il segnale che Marisa stava arrivando, tanto per non spendere soldi inutilmente. Prese la borsa e si alzò, guardando nella direzione verso cui sapeva sarebbe sbucata. Ancora non c??era. Alessia e i ragazzi anche, si alzarono. Sapevano che avrebbero dovuto salutarsi, e oggi sembrava più difficile, per tutti. Nessuno disse nulla, e s??incamminarono verso Marisa, che era arrivata dalla strada che costeggiava il parco, dove parcheggiava la macchina su cui avrebbe caricato Franco e Penny. Indossava la solita maglietta nera, quella larga, comoda, che non si convinceva a gettar via nonostante fosse un po?? consumata, e la gonna a fiori rosso vino. Camminava piano verso di loro, con le spalle un po?? curve. Franco sapeva che quella postura non le era abituale, era sempre sintomo di preoccupazione. Come fu più vicino, tuttavia, si raddrizzò di colpo. Doveva sempre fare la forte, lei. ??Penny, corri, la padrona??. Penny aumentò di poco il passo, quel tanto che bastava a dare l??impressione di correre. Certo, Marisa e Penny erano due grandi paracule. I due ??cararmati??, le chiamava. Era l??ora dei saluti. Alessia lo abbracciò forte, ??A Fra??, mi raccomando, fai il bravo. Ti chiamo, sai? Ti chiamo domani così mi racconti come sono le infermiere!?? ??Seh, seh, e lo vengo a raccontare proprio a te, così sto sicuro che mi dai pure i consigli giusti!?? I due ragazzi aspettavano il loro turno. Si salutarono baciandosi sulle guance e tenendosi per mano, concessione alla commozione. Andò via con Marisa, e sul ciglio della strada, vicino alla macchina, si voltò ancora indietro a salutare gli amici con la mano. Ora basta. Si sta esagerando, mica vado a morire. ??Dai, Penny, e quanto sei lenta! Sali, avanti, dai?? e anche lui salì in macchina, tirandosi dietro la borsa di pelle.
Marisa taceva. Guidava. Franco pensò e ripensò a qualcosa da dire. Niente. ??Penny oggi ha corso dietro a una pigna??. ??Ah sì? Allora visto che ha fatto sport, possiamo darle qualche croccantino in più, a pranzo??. Gli era venuto in mente solo Penny e la pigna, come argomento neutrale, ma evidentemente era bastato. ??Hai preparato la borsa???. ??No, ancora no, la preparo oggi pomeriggio, tanto sono solo poche cose, pigiama, spazzolino, un paio di riviste??. ??Forse è meglio che ti porti qualche canottiera in più, così se sudi ti puoi cambiare??. ??Ma tu non vieni? Hai detto che passi da casa mia, ogni tanto, no? Me le puoi portare tu, le canottiere pulite?? ??Eh sì, e che ora mi metto a passare a casa tua tutti i giorni? E che sono Babbo Natale? Portati qualche canottiera in più, poi quando sono sporche, le prendo io, le lavo, e te le riporto??. Parlava con la bocca semichiusa, Marisa, e si notava una leggera impostazione della voce, come quando, e Franco lo sapeva bene, era arrabbiata e cercava di nascondere l??acidità mascherandola abbassando di qualche tono la voce. Ma era inutile, almeno con lui. Arrivarono alla fermata della metro di Franco. ??Ma mi ci vai a dare un occhio a casa ogni tanto, vero? Lo sai che c??è il campo zingari più grosso d??Europa proprio là dietro, e sto al piano terra?? ??Ma sì, ma sì. Se me lo dici ancora un??altra volta non ci metto piede per tutto il tempo che stai in ospedale, e non scherzo??. Scesero dalla macchina. ??Quando torni però facciamo mettere le inferriate, così finalmente la smetterai di stare tappato in casa. E poi proprio a te si verrebbero a rubare???? Non era per la paura dei ladri, che stava con le persiane chiuse, è che si scocciava che potessero infilare la testa in casa sua, a guardare. Non gli piaceva stare in vetrina. Penny da dietro il sedile scodinzolava, voleva scendere. Franco la accarezzò, sedendosi nuovamente in macchina. ??Bella, ci vediamo presto, Marisa ti porta a trovarmi, sai? Mangia poco e corri molto. Quando torno ti porto i bastoncini di midollo, tanti, tutti per te??. ??Si, perché dove vai tu domani li coltivano e poi li vendono a peso. Penny, non dargli retta. Be??, ora vai, tanto ci vediamo domani pomeriggio in ospedale. Sicuro non vuoi che ti accompagni??? Avrebbe voluto abbracciarla, ma sapeva che era impossibile. Le sfiorò una mano, che lei ritrasse immediatamente. ??Cerco sempre di approfittarne, hai visto? Anche prima di entrare in ospedale??. Doveva smorzare la tensione di quello sfioramento, evitare di sentirsi ferito per il ritrarsi di lei, evitare di metterla a disagio. Però poi giocava con lui punzecchiandolo, come quando si era presentata con una collanina nuova e non voleva dirgli dove l??aveva presa, o chi gliel??avesse regalata. C??era da andare ai matti. Una intera vita così. ??Sbrigati, che è tardi. Devo preparare il pranzo. Ricordati che tu oggi devi mangiare leggero, ché domani ti faranno tutte quelle analisi. Ci sentiamo dopo.?? Franco si avviò su per le scale che lo portavano alla metro, senza voltarsi. Aveva gli occhi lucidi, e stavolta non voleva farlo vedere. Non è che pensasse di morire, ma si sentiva come se stesse partendo per un lungo viaggio, senza la sicurezza di tornare.
Arrivò a casa dopo quasi un??ora. Odore di chiuso e legno vecchio. Posò la borsa sulla cassapanca, dopo aver tirato fuori settimana enigmistica, giornale e portafoglio, che ripose sul tavolo. Si tolse le scarpe e le infilò sotto al letto, dove prese le pantofole blu, quelle comodissime. Un regalo di Sabina, la figlia di Marisa. Andò in bagno, il sapone per le mani era finito, ne prese un altro dal mobiletto sotto al lavandino. Profumo di lavanda. Doveva ricordarsi di segnarlo tra la lista della spesa, sulla lavagna in cucina. Be??, aveva tempo, per un po?? avrebbe usato il sapone dell??ospedale. Sapeva che sarebbe rimasto fuori casa almeno per un mese, tra operazione e riabilitazione. Andò in cucina e accese il televisore sul primo canale. Era tardi, il telegiornale era finito, ora trasmettevano La signora in giallo. Non gli piacevano i polizieschi, e la signora gli stava antipatica, troppo saccente. Girò i canali finché non trovò un documentario sulle tartarughe di mare, quelle enormi, che depositavano le uova sulla sabbia ogni anno. Mise su l??acqua per la pasta. Tagliatelle all??uovo. Il sugo era già pronto in frigo, doveva solo scaldarlo. Era quello fatto dalla moglie di suo fratello, con la carne macinata, la pancetta e le cipolle. Non proprio leggero. Se l??avesse visto Marisa, il suo pranzo di oggi, quante storie avrebbe fatto. Sicuramente gli avrebbe detto ??Ma che ci vai a fare in ospedale? E?? inutile, tanto ti ammazzi da solo??. Sempre estrema.
Dopo pranzo lavò i piatti, li asciugò immediatamente, invece di riporli nello scolatoio, in modo da non lasciare niente fuori posto prima della partenza. Il documentario era finito, e Franco aveva girato su una coppia di ragazzi che litigavano. Lei accusava lui di averla tradita, mentre una donna più grande, la conduttrice, cercava di mediare. Che vergogna. Non le guardava, lui, certe trasmissioni. Di solito a quell??ora faceva il riposino. Pulì il tavolo con lo strofinaccio, andò in camera e si sdraiò sul letto, prendendo dal comodino la rivista che vi aveva lasciato la sera prima. La lesse tutta, dalla prima all??ultima pagina, comprese le didascalie delle foto. Lesse anche l??articolo sul nuovo i-Pod. E di computer non ci capiva niente. Erano solo le quattro. Decise di alzarsi e prendere la settimana enigmistica, era in cucina, sul tavolo. Fece tre parole crociate, due rebus e tutta la pagina della Sfinge. Però finalmente si erano fatte le cinque passate. Si rimise le scarpe, infilò in tasca il portafogli e uscì. Non doveva fare la spesa, sarebbe servito solo a far marcire la roba. Arrivò fino da suo fratello a piedi. Una camminata di quasi mezzora. Suonò al citofono. Aspettò. Nessuno rispose. Strano, suo fratello sapeva che domani lui entrava in ospedale, sarebbe stato carino da parte sua farsi trovare a casa, per salutarlo. Forse era presto. Le cinque e tre quarti. Probabilmente era stato trattenuto a lavoro, e la moglie era a casa di qualche amica a spettegolare davanti a un tè freddo. Lo avrebbe voluto anche lui, un bel tè freddo. Entrò nel bar. Poi ne uscì, senza prendere niente. Era inutile aspettare lì, chissà quando sarebbe tornato suo fratello, sarebbe andato invece al bar sotto casa, se era fortunato alla cassa c??era Giusi e poteva fare quattro chiacchiere. Camminava piano, guardando i negozi e la gente. I primi due giorni lo avrebbero tartassato di analisi, prelievi del sangue, urine, eco-cardiogramma, semplice e sottosforzo. Poi l??operazione. La dottoressa gli aveva detto che dei rischi c??erano, ma lei era fiduciosa. E lui anche, voleva fidarsi, voleva crederle. Doveva crederle. Non capiva perché Marisa era così critica, la preoccupazione d??accordo, anche lui ne aveva, anzi, aveva proprio paura, perché negarlo? Ma non si poteva criticare la dottoressa, non avrebbe avuto motivo di operarlo se c??era la certezza che non avrebbe funzionato. Non era in pericolo di vita per cui o ci provi o sei morto comunque. Gli sarebbe piaciuto andare a Firenze un??altra volta, prima di morire. Aveva ancora degli amici, non li vedeva da anni, ma si scambiavano gli auguri di Natale ogni anno. E molte altre cose voleva fare. Voleva mettere le inferriate alle finestre, voleva invitare gli amici del parco a cena, solo Alessia e i due ragazzi, e Marisa, ovviamente. Ma figurati se sarebbe venuta a cena, Marisa, lasciando solo il marito. Forse se gli avesse lasciato da mangiare pronto, per una volta sarebbe anche potuta uscire. Arrivò al bar, alla cassa c??era Giusi, e Franco si sentì sollevato.
Rientrò in casa che erano quasi le sette. Era ora di preparare la borsa. Tirò fuori dall??armadio la valigia. Troppo grande. Prese allora la borsa di pelle dalla cassapanca all??ingresso. La lucidò con il panno e ci infilò dentro un pigiama pulito, tre canottiere, la settimana enigmistica, non l??aveva ancora finita, le pantofole blu ben riposte in uno di quei bei sacchetti per le scarpe, di stoffa morbida, l??unico che aveva, doveva teneva le scarpe buone, quelle per le belle occasioni. Era tanto che non le indossava. La borsa era perfetta, ci entrava tutto, e c??era ancora spazio per le riviste che avrebbe comprato domattina uscendo. Lo spazzolino e il dentifricio li avrebbe messi domani, insieme al portafogli, che ripose invece per ora sotto al cuscino. Si preparò la cena, mozzarella e spinaci ripassati, e con questo aveva svuotato il frigo. Si era fatto i conti giusti.
Per il resto della serata poi solo le voci dello schermo, un vecchio film western, e la classica telefonata di Marisa, per darsi la buonanotte. Come un giorno qualunque. ??Notte Mari??, e bacio a Penny. A domani??.