Riflessioni su una giornata particolare

(Ringrazio davvero molto Gully e Mario Pascucci, rispettivamente l’uno per l’aiuto nel ripristinare wordpress e l’ospitalità  sulle sue macchine e l’altro per la segnalazione di infezioni in corso su questo blog. Ora è tutto a posto. Si ricomincia)

La giornata di ieri è stata intensa per emozioni e pensieri di vario tipo. Provo a riunirli insieme e vediamo che ne esce.

Obama for president (non poteva mancare, ovviamente)
Ho sempre amato l’America. Lo so, quando lo dico molti miei amici mi guardano male (eh si, ho amici antiamericani per principio…). Eppure la amo.
Per la letteratura, per il cinema, per New York. Perché, nel bene e nel male, vuole sempre andare avanti.
Il problema finora era amare l’America per la sua arte, e odiarla per la sua politica, interna ed estera. Ora spero di poter colmare almeno un po’ il solco che divide l’amore dall’odio, e spero davvero che la vittoria di Obama rappresenti quella spinta che ci permetta di riprendere a lottare per il cambiamento anche qui, dove niente cambia veramente ormai da troppo tempo.
Un altro pensiero mi è venuto vedendo i festeggiamenti conditi da lacrime negli USA, in Kenia, in Indonesia, in Europa e in moltissimi altri paesi: quest’uomo, con il carico di responsabilità  che si porta dietro, a rappresentare la speranza di mezzo mondo, come si sentirà ? Quanto un singolo uomo può incarnare un simbolo positivo, ancora prima di iniziare il suo lavoro?
Non credo in ogni caso che risolverà  i problemi del mondo, né quelli degli USA, ma di certo questa speranza già  di suo è positiva.

Berlusconi, i consigli e la forza
Evabbè, le sue dichiarazioni ormai fanno ridere, se non venisse da piangere. Tutto si risolve con l’uso della forza: le occupazioni nelle scuole, i buchi nelle montagne, la paura nei quartieri. Se sono questi i consigli che vuole dare a Obama, credo glieli possa dare anche Bush, e molto meglio…

Michael Crichton
Non amo i suoi libri, la sua scrittura. No. Limite mio, forse, ho gusti a volte troppo sofisticati, per la scrittura. Riconosco però la sua ottima capacità di creare intrecci, di rappresentare il presente, di immaginare il futuro. Ho amato ER e la sua sceneggiatura, ho amato alcuni dei film tratti dai suoi libri. Non tutti. Mi dispiace molto, in ogni caso, che non ci possa più regalare altre storie.

Dalla cronaca
Arrestata casalinga, spacciava per curare il marito. Non so se sia vero, non so cosa spacciava. Ma a leggerla così, rapidamente, non ho potuto non pensare al mio amico, malato di una particolare forma di sclerosi, che utilizza marijuana per alleviare gli effetti della malattia rilassando i muscoli. Denunciato probabilmente dai vicini di casa, che non approvavano forse la sua convivenza con un altro uomo, è stato arrestato, la casa perquisita, 15 gg di carcere, niente medicine. Non ho parole…

Shopping e lavoro
Due ore di shopping in un centro commerciale. Mai stata prima, in un centro commerciale. Posto davvero orrendo. La freddezza delle merci. La dicotomia tra quella falsa ‘grandeur’ ostentata da marmi, lampadari, scalinate, vetrine, e i volti della gente che ci passeggia dentro. Volti scuri, velati, tesi. Due ore di shopping e sono uscita con un maglioncino a poco prezzo e poche paia di calze colorate. Le mie finanze sono direttamente proporzionali con la quantità dei lavori che mi entrano. Molto bassi, entrambi. Bassi come non mai. L’Italia della crisi non è purtroppo solo questa. Ma anche.

Amici
Non bastano per essere felici, ma aiutano molto 🙂
<ringraziamenti mode on>Grazie, cara! <ringraziamenti mode off>

Non tacere, o vai di conversazioni dal basso

Quasi due anni fa il mio amico Fabio mi raccontava di aver conosciuto un uomo straordinario. E dato che lui, il mio amico Fabio, proprio non riesce a trattenersi dal fare un documentario su ciò che davvero gli sta a cuore, nonostante la sua professione sia tutta un’altra, ovviamente ci ha fatto un documentario. Questo:

“Non Tacere” Don Roberto Sardelli e la scuola 725 – regia di Fabio Grimaldi, produzione Blue FIlm.

non tacereUn documentario su Don Roberto Sardelli e sulla scuola 725. Attenzione, però, non è solo un documentario storico, non racconta solo come Don Roberto creò la scuola 725 nel ’68 tra i baraccati dell’Acquedotto Felice e di come questa scuole divenne un laboratorio sperimentale di vita, di cultura e di lotta per la dignità e i diritti. Racconta anche il Don Roberto di oggi, le sue continue battaglie, l’incontro con gli ex allievi della scuola e la lettera al sindaco contro i mali di Roma e del mondo.

Se volete saperne di più, non vi resta che vedere il documentario, presentato sabato 13 ottobre alle ore 17.00/20.30 presso la casa del Cinema – L.go Mastroianni 1 (Villa Borghese).

Se invece sabato 13 e domenica 14 avete altro da fare, o andate a seguire il Festival dei Blog in quel di Urbino, partecipando al Blog Award e alla “Treasure Hunt Wireless Game“, allora date un’occhiata al sito www.nontacere.org, non è la stessa cosa che vedere il documentario, ma dice tanto ugualmente ed è ricco di documenti interessanti. Magari poi viene voglia anche a voi, di non tacere!

Gaypride, per dire

E se Bush viene a Roma per parlare con i ‘nostri’ capi di stato, quando magari stesse zitto a vita sarebbe cosa buona. E se il dottor Fournier non parla per 6 anni per un insano ‘spirito di appartenenza’ e tace una verità che tutti sappiamo. E se i giornali per parlare di Genova e del processo per i fatti della Diaz aspettano le deposizioni di funzionari statali, ignorando molte altre voci.

Se tutto questo accade, per fortuna accade anche che una città che solo sabato scorso era militarizzata per visite inopportune, oggi sia stata teatro di una festa colorata, libera e gioiosa.

Una festa per dire tre parole: libertà, dignità, laicità.

Oggi mi sono presa la prima pausa dopo quasi dieci giorni di lavoro disumano senza soluzione di continuità, per dirle anche io.

E sono andata al Gaypride.

Tizio e Caio e il Digital Divide

L’altro giorno ero all’Università e chiacchieravo con due studenti con cui condividevo una sigaretta davanti alla porta semi aperta dell’uscita di sicurezza.

Avevo lezione, la prima del semestre, ma nessuno dei miei studenti si era presentato. Vabbe’, ho pensato, vengono giù chicchi di grandine grossi quanto ceci, e so quanto sono pigri a volte gli studenti…
Poi in realtà ho pensato che avevo indicato l’orario delle mie lezioni solo sul sito di facoltà, perché non ero riuscita a passare all’università per metterlo anche in bacheca [anche i docenti sono pigri, a volte! o forse essendo a contratto per cifre ridicole devono fare una marea di lavori per riuscire a campare!].

Allora mi sono rivolta ai compagni di sigaretta e ho chiesto: ma voi lo consultate il sito di facoltà per guardare gli orari delle lezioni, le date d’esame ecc.? E poi da lì sono partita in quarta a chiedergli se avevano il computer, la connessione ecc.

Ecco come hanno risposto i due studenti, che chiamerò per comodità Tizio e Caio, per non far torto a nessuno:

Tizio si, e Caio no. Tizio ha il computer, la connessione, e sa come muoversi; Caio lo ha avuto, e da quando è a Roma non lo ha più.
Tizio e Caio sono entrambi studenti fuori sede, del sud. Hanno la stessa età. Studiano le stesse cose.
Tizio e Caio vivono con altri studenti, hanno avuto il primo approccio al computer qualche anno fa, imparando da amici.
Tizio lo usa quotidianamente, e non potrebbe farne più a meno. Caio si è arreso la prima volta che gli si è impallato, e ora dichiara che non gli interessa più.

Erano solo in due, Tizio e Caio, ma qualche riflessione me l’hanno fatta fare… forse stimolata anche da questo post di Stefano su una sessione d’esame all’Università.
Poi ci si è messo anche questo articolo di Paolo De Andreis che, facendo una veloce analisi della partecipazione a Twitter [aiutato da Twittervision, interessante applicazione georeferenziale di Twitter] tira fuori la parola chiave: Digital Divide.

E lo so che di solito si parla di Digital Divide come una questione di Nord-Sud del mondo. Digital Divide geografico ed economico. Pare che ogni tanto se ne rendano conto anche i governi, a loro modo. Mentre per fortuna organizzazioni politiche e non solo, se ne occupano più spesso.
Ma qui non stiamo parlando di questo. Stiamo parlando di un altro tipo di Digital Divide. Quello ‘culturale’.

Non so se capita anche a voi, ma come mi sposto fuori dal mio ambiente di lavoro, dove l’uso delle tecnologie è vita quotidiana, mi ritrovo continuamente a confronto con realtà che utilizzano il computer senza sapere cosa fanno e perché. Senza poter scegliere, senza poter risolvere problemi minimi, senza quegli strumenti necessari a capire cosa si può fare e cosa no e soprattutto senza la consapevolezza della loro utilità.
E poi incappo, anzi quasi me la cerco, in una conversazione con due studenti che non farebbe testo, se non fosse che non è la prima che mi capita con risposte simili, e spesso con percentuali assai più scoraggianti.

Non è una novità che anche in un paese sviluppato come in teoria è l’Italia [ah! Ahah!], manca la diffusione di quegli strumenti cognitivi necessari a usare criticamente la tecnologia informatica. Manca una volontà di formare, di diffondere saperi e conoscenze.

Allora va bene, affrontiamo il divario digitale parlando della banda larga, di pc a basso costo e di tecnologie open source. Giustissimo, niente da dire. Anzi. E parliamo di uso consapevole solo per fare in modo che i bambini non possano accedere a immagini pornografiche navigando su Internet [mah! e nel mondo degli atomi?], o gli adulti non si prendano pericolosi virus… E ok, diamo i computer nelle scuole elementari, e ok, creaimo fantastiche applicazione di democrazia elettronica [come l’ottimo municipio partecipato, dei miei amici di Depp].

Ma poi? Una volta che riusciremo ad avere la wireless in ogni metropoli, città, paesino, e un computer in ogni casa, scuola, ufficio, e la carta d’identità digitale, e la trasparenza più totale delle azioni dei nostri politici [si, sto diventando utopica, lo so! ma fatemi finire…]

Una volta che avremo tutto questo, cosa ci faremo?

E’ la stessa cosa di quando andammo con tre amici in Chiapas, in una di quelle che allora si chiamavano “Aguascalientes”, dagli indigeni zapatisti. Andammo lì per sistemargli il laboratorio informatico. Era pieno di computer vecchi, “basura” americana, e ovviamente non c’era Internet. Arrivammo anche noi con valigie più che cariche, di hub, di schede di rete, di computer interi. Sistemammo il laboratorio, installammo un server linux e ci collegammo una ventina di computer. Se nel frattempo qualcuno di noi seduto davanti a uno di quelli funzionanti non si fosse fatto spremere a più non posso da una manica di ragazzini di 14 anni che volevano imparare tutto sui computer, con quel laboratorio gli zapatisti che ci avrebbero fatto?

Ho qualche idea, ma magari iniziate voi…

Creative Commons

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